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Nelle ex
miniere di Monteponi, Nebida, Masua, ecc. sono presenti le strutture
minerarie di maggiore imponenza, alcune delle quali uniche al mondo
per caratteristiche e scelte progettuali avveniristiche rispetto ai
tempi di realizzazione. Tali complessi rappresentano segni
indelebili di una grande cultura che non solo è patrimonio della
Sardegna, ma a seguito del riconoscimento da parte dell'UNESCO
del "Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna",
è diventato un patrimonio dell'Umanità.
Un
progetto lungo e travagliato, ufficialmente nato nel ’97 con
l’approvazione da parte dell’Unesco e la successiva firma della
Carta di Cagliari. Suo il compito di bonificare, mettere in
sicurezza, difendere e diffondere la memoria dei luoghi e delle
genti che fin dall’antichità hanno scavato le miniere e le cave
di queste montagne. Gallerie che arrivano fino a 500 metri di
profondità e a 300 metri sotto il livello del mare.
Il
parco rappresenterà un’isola nell’isola e sarà diviso in 8
aree, per un totale di quasi 38.000 ettari e 105 comuni coinvolti.
La parte del leone spetta alle aree del Sulcis, Iglesiente e
Guspinese, che occupano il 65 per cento del nuovo parco (24.450
ettari). La
nascita del Parco geominerario é la testimonianza ed insieme una
scommessa di riconversione fra due opposti: da una parte le miniere,
attività di per sé devastante per il territorio, e dall’altra la
salvaguardia ambientale che diventa risorsa economica da sfruttare.
Il
primo obiettivo è quello di risanare e mettere in sicurezza un
territorio che secoli di sfruttamento minerario hanno fortemente
degradato e reso pericoloso se abbandonato a se stesso. Tenendo però
sempre in considerazione l’obiettivo futuro di valorizzare
economicamente i siti dismessi attraverso un utilizzo culturale e
turistico dell’intera zona. Bonifica, messa in sicurezza e percorsi
turistici nelle gallerie e delle grotte; ristrutturazione dei
caseggiati sparsi ovunque, delle città minerarie un tempo
totalmente autosufficienti e oggi fatiscenti, con chiese, stazioni
dei carabinieri, case di minatori, scuole, ecc.
La
valorizzazione di tali strutture per usi didattici, scientifici e
turistici potrà far sì che si sviluppino, sulle ceneri di ciò che
resta del mondo minerario, nuove iniziative che si sostituiscano in
tutto il territorio a quelle attività che facevano capo alla
monoeconomia mineraria.
Partendo da
queste considerazioni si è quindi pensato di realizzare uno studio,
limitato alle coperture, sulla presenza dell' amianto nelle miniere
dell' Iglesiente. Attraverso
una analisi del materiale e delle patologie legate al suo
utilizzo, si è messo in evidenza come sia necessario, in
prospettiva di un' eventuale riconversione e sfruttamento degli
edifici, una preventiva bonifica di quelli dove è stato utilizzato
l'amianto. E' stato
pertanto eseguito un censimento allo scopo di identificare le
infrastrutture minerarie, di stimarne le superfici e lo stato di
degrado.
Le aree
minerarie prese in considerazione sono:
Monte
Agruxiau,
San Benedetto,
Campo Pisano,
San Giovanni,
Monteponi,
Nebida,
Masua,
Malacalzetta,
Canal Grande e
Acquaresi. Lo studio
è stato condotto attraverso la predisposizione di apposite schede
per il censimento, accompagnate dalla relativa cartografia e
documentazione fotografica, alla compilazione delle quali è seguita
la successiva fase dei rilievi. Una volta ottenuti i dati ricercati,
sono stati elaborati attraverso tabelle e relativi grafici e si
potuta condurre una stima della spesa necessaria per un' eventuale
bonifica dei siti.
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