A
causa dei contrasti tra la Società e il governo, quando nel 1741 la
concessione venne a scadere, non fu rinnovata, e, passò alla società
diretta dallo Svedse C.Gustavo Mandel che ottenne un contratto della durata
di trenta anni fino al 1772.
Il
Mandel servendosi inizialmente di esperti operai tedeschi, e successivamente
di maestranza locale, ottenne rapidamente buoni risultati. A Monteponi si
prese ad operare intorno alla galleria San Vittorio ove fu introdotto nel
1744, per la prima volta in Sardegna l’uso delle mine. Alla morte del
Mandel nel 1759, il lavoro fu ripreso dall’Avv. A. Vincenzo Mameli che se
ne occupò con abilità e intelligenza fino al 1762. Dopo quella data la
direzione fu assunta dall’ingegnere militare De Belly che già nel 1759 si
trovava in Sardegna e, per conto del governo aveva studiato in dettaglio la
situazione delle miniere.
I
successivi trent’anni di gestione dello Stato diretta dal De Belly, non
videro risultati eccezionali e numerose miniere furono abbandonate perché
ritenute improduttive a partire dal 1782.
Nonostante
la decisione nel 1784 di servirsi dei forzati per i lavori di estrazione,
anche a Monteponi l’attività estrattiva non ottenne risultati
incoraggianti.
Alla
sua morte, nel 1791, De Belly fu sostituito da Rollando, già direttore
della miniera di Monteponi. Il precipitare delle vicende politiche di quegli
anni decretò tuttavia la quasi completa paralisi di tutti i lavori minerari
che raggiunsero alla fine del secolo le punte minime determinando la
chiusura di numerose fonderie e miniere.
Un
successivo tentativo fu compiuto dal sovrintendente delle miniere Cav.
Vichard di Saint Real nel 1804 che riprese i lavori sospesi a Monteponi e
realizzò un ribasso sotto la galleria San Vittore che non ebbe alcun
seguito e fu sospeso l’anno successivo per le difficoltà economiche
dell’erario statale.
Nel
1806 il governo diede ancora in concessione venticinquennale le miniere di
Monteponi e di Montevecchio ad una società privata costituita dal Conte E.
Vargas di Kiel con altri soci e i lavori furono immediatamente ripresi con
grandi speranze, per essere sospesi dopo soli tre anni per revoca della
concessione alla Società Vargas resasi inadempiente.
Il
successivo periodo di gestione statale, volto esclusivamente
all’estrazione di minerale a Monteponi, fu condotto con la consueta
incompetenza e produsse per ben 17 anni un bilancio deficitario.
Nel
1825 fu inviato in visita in Sardegna l’esperto Sig. Despine ispettore
delle Miniere e Fonderie di Tarentaise e della scuola di Muttiers, in
Savoia, che dovettero constatare la completa rovina dell’industria
mineraria sarda dopo un secolo di tentativi di coltivare le miniere in
amministrazione diretta e da appaltare ad imprese che risultavano sempre
inadempienti.
In
una successiva visita, nel 1829, l’Ing. Francesco Mameli compilò
un’accurata relazione che confermava le conclusioni del Despine
ripercorrendo il lungo periodo di insuccessi dell’annessione della
Sardegna ai Savoia, e indicò, nella costituzione di società industriali,
il mezzo per la ripresa e lo sviluppo delle attività estrattive
nell’Isola.
Un
manifesto del 1836 emanato dalla Reale Giunta patrimoniale per favorire il
ritorno delle miniere all’iniziativa privata, è la prova che occorsero
alcuni anni perché l’idea trovasse un seguito nella volontà politica.
La
legge sulle miniere, approvata nel 1840, stabilì finalmente che solo lo
Stato aveva diritto di accordare concessioni ai privati sui giacimenti
minerari (che restano comunque un suo patrimonio) e sancì che il
proprietario del suolo non ha la proprietà del sottosuolo, sicché non ha
alcun diritto sugli utili d’impresa spettandogli solo un risarcimento dei
danni eventualmente causatigli.
Questa
legge non ebbe immediati riflessi in Sardegna ove si conservavano ancora le
antiche autonomie e privilegi e fu estesa all’Isola solo dopo il 1848 come
conseguenza dell’attività opera riformatrice di Carlo Alberto e determinò
la decisione degli Stamenti di rinunciare alle autonomie e divenire, da
quella data, una provincia del Regno.
La
conseguenza immediata della nuova legge mineraria, fu quella di richiamare
l’attenzione della nuova borghesia industriale su questo settore, e quando
il 15 febbraio del 1850, il governo mise all’asta la miniera di Monteponi,
questa fu concessa per trent’anni alla società appositamente costituita
con il nome di “Società di Monteponi Regia Miniera presso Iglesias in
Sardegna” con sede in Genova e presidente il signor Antonio Nicolay.
Nel
capitolato per l’affitto del complesso di Monteponi si precisava che il
patrimonio immobiliare era costituito da un terreno di circa 100 are, i
fabbricati esistenti, le gallerie e una notevole superficie per
l’estensione dei lavori.
Nei
programmi della Società doveva realizzarsi un’attività metallurgica ad
integrazione di quella estrattiva per sfruttare, attraverso la realizzazione
di una fonderia, i vantaggi che presenta l’esercizio della metallurgia in
situ. Nasce così e si sviluppa rapidamente la prima vera industria
estrattiva e metallurgica in Sardegna, quella di Monteponi, condotta per la
prima volta, con moderni criteri imprenditoriali che puntavano sugli
investimenti finalizzati alla crescita della produzione, razionalizzavano
attraverso continue sperimentazioni i sistemi di estrazione e trasformazione
delle materie prime, preparavano le maestranze ai compiti sempre più
difficili cui erano chiamate, realizzavano infrastrutture e collegamenti
sempre più efficienti aumentando ad un ritmo vertiginoso la produttività e
gli aumenti di capitale.
E
in definitiva in tutta l’Europa il passo decisivo sulla strada
dell’industrializzazione della società moderna seguì le medesime
direttrici ed ebbe come conseguenza la concentrazione di materie prime,
uomini e macchine in una struttura più o meno complessa realizzata
opportunamente ai fini produttivi; una struttura che si insediava in un
paesaggio fino ad allora modellato dalle attività agricole o in molti casi,
come in Sardegna, neanche contaminato nelle sue componenti naturalistiche.
Nel
caso dell’industria mineraria questo rapporto fabbrica-territorio assume
un’importanza determinante, ancora oggi evidentissima, essendo
strettamente condizionata dalla reperibilità della materia prima; e,
l’aspetto fisico della “fabbrica” finisce con l’essere
“costruito” dalle caratteristiche geologiche del suolo, dall’andamento
delle vene metallifere e dai tortuosi percorsi che queste impongono. Le
forme dei camini usati per disperdere i fumi, le bocche dei forni, gli
impianti di carica e scarica, i carrelli e le rotaie, i magazzini, i
depositi e le attrezzature di sollevamento, costituirono gli elementi
distinti e pur perfettamente integrati del nuovo paesaggio industriale,
profondamente segnato dagli effetti geologici e biologici prodotti
sull’ambiente naturale.
Il
complesso minerario Monteponi costituì nell’Iglesiente, ma certamente
anche su scala internazionale uno degli esempi più significativi in tal
senso: una struttura in cui la cospicua e multiforme presenza di segni della
attività industriale ha prodotto il sovvertimento globale delle
caratteristiche originali del territorio e la nascita di un paesaggio
industriale totalmente artificiale; ma anche una struttura fortemente
stratificata in cui le rapide modificazioni dei processi estrattivi e delle
tecnologie hanno determinato, dalla seconda metà del XIX secolo le
sovrapposizioni di diversi e nuovi elementi che sono cresciuti con un
processo di addizione capace di ricostruire di continuo l’architettura e
il paesaggio. Ma ancor più Monteponi costituisce una struttura produttiva
emblematica per ripercorrere la vicenda civile di intere popolazioni che
hanno determinato la formalizzazione fisica dell’ambiente nel quale ancora
oggi viviamo, attraverso l’affinarsi della loro cultura materiale e lo
sviluppo della loro coscienza di classe.
L’impostazione
che fin dall’inizio si volle dare alla nascente industria di Monteponi,
proiettata verso un’integrazione dell’attività estrattiva con quella
metallurgica, si rivelò ben presto coerente e proficua.
Per
realizzare la prima fonderia della Società fu acquistata nel 1850 la tenuta
di Canonica di proprietà dei Conti Baudi di Vesme; nello stesso anno per
risolvere il difficile problema del trasporto dei materiali, inizialmente
avviati al porto di Cagliari con mezzi a trazione animale, fu realizzata una
strada di collegamento con la rada di Fontanamare riducendo così di molti
chilometri il percorso dei mezzi di trasporto dei minerali che venivano poi
avviati al porto di Carloforte divenuto il punto di imbarco per l’Italia e
per l’estero.
Contemporaneamente
sotto la guida dei primi tecnici inviati a Monteponi, l’Ing. Keller, a
partire dal 1852 e l’Ing. Fabri, dal 1856, furono abbandonate le vecchie e
antieconomiche tecniche di coltivazione dei minerali e introdotte le nuove
tecnologie dell’arte minerarie, già sperimentate con successo
all’estero e capaci di conseguire una maggiore produttività.
Furono
intanto introdotti i rilievi topografici che permettevano di studiare in
modo più razionale l'andamento degli affioramenti e quindi di progettare
meglio i lavori di scavo e ricerca.
Nel
1853 fu realizzata la prima laveria sarda a mano capace di trattare grandi
quantità di minerali a basso tenore piombifero fino a quel momento rimasti
inutilizzati e negli anni successivi furono avanzate con grande celerità le
gallerie Nicolay e Villamarina dotandole di rotaie e vagoncini per il
trasporto dei materiali.
Nel
1861, dopo i primi anni di assestamento della Società, la direzione della
miniera fu assunta dall’Ing. A. Pellegrini e la presidenza passò nelle
mani del Baudi di Vesme, mentre le azioni, trasferitesi velocemente nelle
mani di capitalisti piemontesi, determinarono nel 1864 il trasferimento
della sede sociale da Genova a Torino.
Gli
anni successivi, sotto la guida del Pellegrini, furono caratterizzati
dall’introduzione del sistema del cottimo e dall’aumento vertiginoso
degli addetti, della produzione e degli utili.
Nel
1863 fu iniziato il ribasso Vesme e il pozzo principale di estrazione
denominato di “Vittorio Emanuele II”; nel 1867 furono realizzate due
nuove laverie a mano, quella di Nicolay e di Vilamarina, e nel 1874 si
progettò una nuova laveria meccanica, realizzata nell’anno successivo.
Nel
1865 era stata pertanto scoperta l’importanza della calamina dall’Ing.
Eyquem che a Buggerru aveva localizzato vasti giacimenti di questo minerale
di zinco.
Il
Pellegrini, esplorati negli stessi anni gli affioramenti di Monteponi, ne
individuò consistenti giacimenti e organizzò immediatamente la
coltivazione del nuovo minerale.
Il
vantaggio economico di vendere le calamine calcinate e non crude, rese
necessaria la realizzazione di immensi forni di calcinazione, che furono
costruiti negli anni successivi.
Con
l’acquisto della miniera di San Giorgio, nel 1867, di proprietà francese,
la Monteponi si ingrandì notevolmente e consentì di aumentare a ritmi
frenetici la produzione di calamina calcinata, rettificando il grande pozzo
già esistente poi denominato di “Santa Barbara”.
I
minerali di zinco, poiché in Italia mancavano le fonderie, venivano
esportati in Belgio, in Prussia ed in Inghilterra. Il notevolissimo impulso
all’estrazione determinato dalla nuova produzione di calamine, rese
rapidamente insufficienti i collegamenti stradali e desueti i sistemi di
estrazione, prosciugamento dei pozzi e lavaggio dei materiali.
La
Monteponi affrontò il problema della viabilità costruendo nel 1870 una
ferrovia privata sul tratto Gonnesa-Portovesme, già funzionante l’anno
successivo, con tre locomotive giunte dall’Inghilterra.
Il
problema dell’estrazione dei minerali dai pozzi fino allora effettuato con
argani manuali e con l’impiego di animali fu reso più rapido con
l’utilizzazione, nel 1869, di una macchina a vapore proveniente da Liegi,
sistemata in un nuovo fabbricato progettato dall’Ing. Stiglitz.
Nello
stesso anno entravano in servizio due pompe a vapore, ed un’altra di
maggiore capacità, nel 1872, che eliminando l’acqua del pozzo Vittorio
Emanuele, consentivano di raggiungere ulteriori approfondimenti.
L’impiego
su larga scala della dinamite, da poco diffusa in Italia dopo le
sperimentazioni del Nobel, avvenne a partire dal 1869 e consentì un
notevolissimo incremento della lunghezza gallerie, della profondità dei
pozzi nonché dell’abbattimento di ingenti volumi di roccia nella parte più
a monte della miniera.
Per
ottenere una maggiore velocità di perforazione delle rocce furono montate
tre perforatrici Burleigh e un compressore d’aria, azionato a vapore, che
anticipò di mezzo secolo l’impiego di un mezzo di trasmissione di energia
motrice, oggi largamente diffuso.
Le
sempre maggiori difficoltà di estrazione e soprattutto di pompaggio
dell’acqua mano a mano che i livelli di scavo si approfondivano,
costringevano ad affrontare un’incessante lotta col tempo e spingevano ad
una affannosa ricerca di nuovi metodi e avanzamenti tecnologici.
Due
nuove e potentissime pompe furono installate nel 1872 per un nuovo pozzo
denominato “Quintino Sella” e nel 1873 e 1874 fu costruito il fabbricato
necessario ad ospitarle assieme alle caldaie.
Negli
stessi anni venne ripresa la costruzione del secondo tronco della ferrovia
che doveva essere completato collegando Gonnesa a Monteponi e
contemporaneamente avviata la costruzione del grande piano inclinato che
collega la stazione della ferrovia in fondo valle, col piazzale Nicolay
della miniera superando cento metri di dislivello, per consentire il
transito dei vagoni ferroviari.
Tra
le altre grandiose iniziative intraprese in quegli anni deve ricordarsi la
costruzione dell’acquedotto di Monteponi e l’acquisto di una miniera di
lignite a Fontanamare, che riuscirono a rendere Monteponi del tutto autonoma
per gli approvvigionamenti idrici e di energia.
L’incremento
vertiginoso dell’attività di estrazione spinto dalle innovazioni
tecnologiche e dai poderosi investimenti realizzati non determinò soltanto
la realizzazione delle infrastrutture che abbiamo descritto o
l’occasionale costruzione di depositi e magazzini per l’installazione
degli impianti. In quello stesso periodo furono infatti compiuti notevoli
sforzi di razionalizzazione della complessa struttura territoriale, in fondo
ancora condizionata dall’irregolare andamento dei pozzi e delle
escavazioni del periodo protoindustriale. Tra questi assume un valore
emblematico l’Ospedale della miniera e la sede della direzione e
abitazione dei dirigenti, realizzata nel 1865, che è costituita da un
palazzetto con impianto planimetrico a “C” di impostazione
classicheggiante e in posizione panoramica che le derivò la denominazione
di “Bella Vista”.
Il
passaggio della direzione dal Pellegrini all’Ing. E. Ferraris nel 1875
segnò la fine del periodo “eroico” di Monteponi che disponeva già di
strade, edifici volti alla soddisfazione dei complessi bisogni della comunità,
di una ferrovia, di un porto e, già in atto, un’attività premetallurgica
destinata a mutarne l’aspetto nei successivi decenni.
In
quegli stessi anni scadeva la concessione trentennale alla miniera e dopo
lunghe trattative il futuro di Monteponi fu deciso da una legge, fortemente
caldeggiata da Quintino Sella in Parlamento che nel maggio del 1880 consentì
allo Stato di vendere la concessione alla Società Monteponi per Lire
1.115.000, a condizione che la Società si assumesse l’onere di costruire
le gallerie di scolo che avrebbe dovuto abbassare il livello delle acque di
tutto il bacino imbrifero dell’Iglesiente. La galleria di scolo,
denominata “Umberto I”, fu realizzata a partire dal 1880 e portata
avanti con sollecitudine e grande lungimiranza con un tracciato complessivo
di metri 4.250 che fu concluso soltanto nel 1889.
Il
processo di potenziamento delle strutture produttive fu contemporaneamente
accelerato per fronteggiare una generalizzata caduta dei prezzi del piombo e
dello zinco intorno al 1877 e che si protrasse fino al 1885 per effetto
della sovrapposizione sul mercato mondiale di quei due metalli.
E
così nel 1881, furono introdotte le perforatrici rotative ad acqua
compressa; fu costruita una seconda laveria meccanica, la “Sacchi”, che
consentiva di trattare i minerali misti e di recuperare i fanghi argillosi
dai bacini di decantazione impiegati per fare tegole e mattoni di consumo
locale; e nel 1883 infine, l’illuminazione elettrica con lampade ad
incandescenza sistema Swan e macchina dinamo-elettrica Siemens, che
consentirono alle laverie meccaniche di essere illuminate elettricamente.
La
caduta dei prezzi accennò ad arrestarsi a partire dal 1886 e si stabilizzò
ulteriormente negli anni successivi.
L’effetto
più evidente della crisi era stato la liquidazione in pochi anni delle
imprese più piccole ed un progressivo processo di concentrazione delle
attività attorno ai gruppi industriali finanziariamente più potenti e
tecnologicamente più avanzati.
A
Monteponi i lavori ripresero con rinnovata intensità promuovendo nuovi
investimenti. Nel 1887 fu messa in funzione la nuova laveria “Calamine”
cui fu annessa, nel 1889, la laveria magnetica, interessante esempio di
applicazione della tecnologia del ferro. Nel 1893 fu instaurata la nuova
laveria “Mameli” che, dotata di tavole a scossa ideate dal Ferraris e di
mulino a sfere per la macinazione dei granuli fini, fu brevettata e sostituì
le precedenti ottenendo grande diffusione in tutta Europa. Una nuova caduta
dei prezzi nel 1893-95, dovuta ad avverse congiunture internazionali, fu
subita da tutte le società e superata soltanto da quelle con una forte
concentrazione di capitali in atto.
La
successiva straordinaria ripresa fu sostenuta dal massiccio impiego
dell’energia elettrica applicata alle perforatrici e all’accensione
elettrica delle mine, ma ancor di più all’attività metallurgica, che
ebbe un rapidissimo incremento proprio in quegli anni e determinò le ultime
più importanti trasformazioni del paesaggio industriale di Monteponi.
Già
nel 1894, l’installazione di una fonderia elettrica consentì di produrre
ingenti quantitativi di piombo, accogliendo per molti anni i minerali di
zinco ottenne egregi risultati, rimanendo in esercizio fino al 1907.
I
migliori risultati nel settore della metallurgia dello zinco furono
raggiunti, pur con notevole ritardo rispetto ai paesi europei in cui
venivano esportati minerali sardi, dallo studioso Francesco Sartori, che si
occupò di Monteponi a partire dal 1805.
Il
sistema sperimentale del Sartori capace di trattare i minerali di zinco per
ricavarne metallo sotto forma di ossido, condusse, dopo numerosi tentativi
falliti, alla realizzazione dell'impianto dello Stabilimento di Scalo, sorto
nel 1914 e perfezionato nel 1917.
Nel
1900 la Monteponi si presentò con successo, insieme alle consorelle
Montevecchio e Malfidano, alla Esposizione Universale di Parigi e nel 1906
riceveva la medaglia d’oro dell’Esposizione Universale di Milano.
Gli
eventi della prima guerra mondiale e le successive difficoltà economiche
costrinsero ad una momentanea interruzione di tutte le attività, rivelando
contemporaneamente l’immediata necessità di aumentare la produzione dello
zinco per far fronte alle ingenti richieste dell’industria bellica, dopo
il blocco delle importazioni dal Belgio e dalla Germania.
L’interesse
per l’attività metallurgica crebbe notevolmente fondata anche sulle
speranze di sviluppo indotte dalla nuova centrale termoelettrica di
Portovesme, che era entrata in funzione proprio nel 1914 per iniziativa
della Società Elettrica Sarda.
Negli
anni successivi la metallurgia ricevette un ulteriore impulso dalle
sperimentazioni del procedimento dell’elettrolisi che consentiva di
ottenere lo zinco metallico di notevole purezza e che finì col modificare
ulteriormente l’aspetto architettonico del complesso.
A
partire dal 1920 la Monteponi decise di intraprendere la nuova via
dell’elettrolisi al fine di valorizzare le enormi masse di calamina del
giacimento di Campo Pisano non utilizzabili altrimenti in modo
economicamente remunerativo per il basso tenore di zinco.
Il
nuovo impianto fu avviato nel 1923 e ultimato nel 1926, utilizzando la
centrale idroelettrica del Coghinas che la Società Elettrica Sarda stava
completando e che poteva fornire i trenta milioni di Kwh. necessari al
funzionamento dello stabilimento.
Negli
stessi anni l’attività estrattiva conobbe un ulteriore impulso grazie
all’introduzione di altre innovazioni tecnologiche e conseguenti
investimenti tra cui ricordiamo la vasta rete di installazione interne di
Locomotive elettriche, il nuovo impianto di flottazione il linea con i
migliori esempi europei che rendevano possibili l’utilizzazione di
cantieri prima forzatamente trascurati, e una fabbrica di acido solforico
installata nel 1928 a Saclo per sopperire alla necessità dell’impianto
elettrolitico.
Nonostante
la grande crisi che investì il settore minerario italiano dalla fine degli
anni 20 in poi, la Monteponi accentuò i suoi piani di espansione e nel 1931
avviò con successo il reparto per la produzione del Cadmio fornendo
all’Italia i primi quantitativi di tale metallo.
La
società disponeva a quel punto di un villaggio operaio realizzato con
intelligenza e razionalità, affiancato dalle villette dei dirigenti e degli
impiegati e da altri edifici minori, come lo spaccio, l’asilo,
l’infermeria e la cappella che erano cresciuti nel tempo dotando
l’industria di tutti i servizi indispensabili alla vita di centinaia di
lavoratori.
La
politica economica autarchica avviata dal regime fascista in quegli anni, si
dimostrò occasionalmente favorevole agli interessi della Sardegna e a
partire dal 1934 i lavori ripresero con alacrità e si intensificarono.
Il
successivo periodo di crescita e costruzione di nuovi impianti, come quello
di flottazione per il recupero dei fanghi della laveria Mameli, e di
numerosi altri, coincise purtroppo con la rimozione di numerose strutture
ottocentesche ormai desuete e da tempo inutilizzate, come la laveria
“Calamine” e la laveria “Vittorio Emanuele”, e con l’introduzione
delle nuove tecnologie del cemento armato, che sostituirono in gran parte
quelle del legno, del mattone e del ferro che avevano configurato
l’architettura del complesso di Monteponi dalla metà dell’Ottocento in
poi.
Il
tracollo dell’industria mineraria nell’immediato dopoguerra fu un evento
inevitabile e ciò che rimane di Monteponi è in fondo il risultato di
quell’interruzione in un processo di crescita che per cento anni era
sembrato irresistibile.
Il
patrimonio di edilizia civile e industriale
Come
già detto la storia moderna della miniera prende avvio dalla seconda metà
dell’Ottocento, con la nascita della Società di Monteponi, fondata a
Genova nel 1850 da un gruppo di ricchi imprenditori guidati dal banchiere
genovese Paolo Antonio Nicolay e con l’acquisizione di una concessione
trentennale durante la quale si pongono le basi per l’avvio della fase
industriale.
E’
tuttavia con l’arrivo dell’Ing. Adolfo Pellegrini nel 1861 che inizia un
periodo “glorioso” che coincide con una serie di investimenti volti alla
costruzione di nuove infrastrutture, all’ammodernamento tecnologico di
quelle esistenti, nonché al miglioramento delle condizioni lavorative ed
abitative dei dipendenti.
Nel
1865 sorse la Palazzina Bellavista, elegante edificio destinato ad
accogliere gli uffici e le abitazioni dei dirigenti della Società e
contemporaneamente a simboleggiare il prestigio economico raggiunto. Negli
stessi anni vennero costruiti un ospedale e le prime abitazioni operaie del
tipo “a cameroni”. Le laverie sorgevano in prossimità degli imbocchi
dei cantieri più importanti: “si
moltiplicarono le laverie a mano -che raggiunsero il numero di
quattordici - e nel 1867 fu
smantellata quella di Fontanacoperta – una delle due più antiche con
quella di San Real – trasportandone
i crivelli in due stabilimenti nuovi cui si diede il nome di Nicolay e
Villamarina; nel 1874 si progettò una nuova laveria meccanica, portata a
termine l’anno seguente”. L’Ing. Stiglitz progettava il fabbricato
del Pozzo Vittorio Emanuele, la cui costruzione risale al 1869; nel 1871
inizia il suo regolare servizio la ferrovia privata Monteponi-Portovesme (il
primo tronco a cui seguirà nel 1874-75 il secondo tratto di collegamento
Gonnesa-Moneteponi).
Un
altro capitolo importante per la storia della miniera è legato all’opera
dell’Ing. Erminio Ferraris, a cui si devono: la costruzione di nuove
laverie meccaniche e la trasformazione di quelle manuali, la realizzazione
della Fonderia per piombo, l’apertura della galleria Umberto I e tutta una
serie di opere assistenziali, tra cui l’asilo e la ristrutturazione
dell’ospedale. Nel secondo decennio del Novecento venivano avviati dalla
Società di Monteponi i primi grossi interventi pianificati per la
costruzione di case popolari, in prossimità della città di Iglesias.
Da
quanto riportato dal Corbetta che visitò la miniera di Monteponi nella
seconda metà dell’Ottocento possiamo farci un’idea delle condizioni
abitative delle prime maestranze minerarie, costrette a coabitare in
baracche provvisorie edificate in prossimità degli imbocchi delle gallerie,
spesso privati dei più elementari servizi quali acqua, servizi igienici e
fognature, infermeria e spacci di vendita.
Le
prime foto d’epoca della miniera, risalenti agli anni ’60
dell’Ottocento ci documentano la dislocazione sparsa ed isolata dei primi
edifici, in cui si individua in posizione baricentrica il nucleo costituito
dalla prima casa della Direzione e dall’Officina Meccanica. Inizialmente
gli edifici sorsero senza un piano prestabilito, seguendo la dislocazione
dei lavori minerari e perciò localizzandosi in prossimità degli spiazzi
dove vi erano gli impianti e gli imbocchi delle gallerie.
Intorno
al 1875 si comincia a delineare un grosso nucleo attorno al piazzale
Bellavista che accoglie, oltre all’imponente Palazzina sede della
Direzione immersa nel verde di un giardino, le strutture dei pozzi Vittorio
e la Fonderia del Piombo. La struttura insediativa del centro minerario
nasce e si sviluppa secondo criteri di funzionalità e dipendenza
dall’attività mineraria, come si può desumere dall’analisi della
planimetria redatta dall’Ing. Adolfo Pellegrini nel 1868. La carta, oltre
a mostrare i percorsi delle gallerie interne alle varie quote,
localizza anche tutti gli edifici ed impianti esistenti: i Fabbricati
Despine (i più antichi, risalenti al 1853) si trovano al centro,
proprio al di sopra dell’intrico delle gallerie più antiche; i nuovi
pozzi e le laverie, collegati con le gallerie più recenti, sono localizzati
più marginalmente. Nel versante meridionale, dove già sorgeva l’antico Fabbricato
Nicolay, si affiancano i nuovi edifici delle casserie e della Laveria Nicolay, disposti ad “U” attorno al
grande piazzale sul quale prospetta anche la Casa
della Maggiorità. Poco distanti, sulla destra si individua la struttura
del pozzo Vittorio Emanuele, l’edificio della Forgia e la Casa degli
Impiegati; mentre nell’estremità orientale si individua un lungo e
stretto caseggiato che ospita l’Ospedale e la Scuderia.
L’Ing.
Erminio Ferraris, descrivendo la Miniera di Monteponi nella situazione in
cui si trova nel 1907, scriveva: “…
Gli edifizi industriali e le abitazioni intramezzate da boschetti e giardini
ricoprono la pendice del monte, formando un quadro attraente e pieno di
vita. La sommità del monte è divenuta un immenso scavo di circa sei ettari
di estensione a forma di cratere; nell’interno, sino al livello del mare,
si sviluppano circa settanta chilometri di gallerie ampie e ben areate (…)
il tutto è animato dalla presenza di quasi duemila persone e da numerosi
motori a vapore, a gas ed elettrici …” .
Notizie
storico-architettoniche del complesso di edifici del Piazzale Villamarina
A
partire dagli anni Venti-Trenta del Novecento si cerca di dare una
sistemazione più organica al compendio minerario realizzando il
tracciamento degli assi di collegamento tra
i piazzali e differenziando i percorsi. Il piazzale Villamarina,
comincia a specializzarsi come centro dei servizi e attorno all’esistente
ospedale viene iniziata la costruzione dell’asilo infantile, della scuola
elementare, della mensa, della caserma dei Carabinieri e dell’ex Casa del
Fascio (costruita nel 1933, poi trasformata per accogliere la chiesa di S.
Barbara).
Negli
anni del secondo dopoguerra quasi tutte le opere “assistenziali”
dell’insediamento minerario sono state oggetto di un piano di
ristrutturazione che ha avuto il suo epilogo in occasione della celebrazione
del centenario della Società di Monteponi, nel 1950.
Si
provvide alla sistemazione del viale alberato di attraversamento, abbellito
con la messa a dimora di alberature ad alto fusto e con la sistemazione di
aiuole nel piazzale Villamarina. Il piazzale, attorno al quale si trovano
dislocati la gran parte dei servizi collettivi dell’insediamento, viene a
caratterizzarsi architettonicamente come il nucleo moderno
dell’insediamento, mediante una serie di interventi di ristrutturazione ed
ampliamento che interessano tutti gli edifici prospicienti, a partire dalla
realizzazione della guardiola di ingresso, caratterizzata dalla nuova
pensilina in cemento armato.
L’ospedale
L’edificio
fa parte della vecchia struttura nota come “ospedaletto” adibita ad
infermeria ed alloggio del personale medico ed in cui, sin dal 1866
prestarono la loro opera le suore di Carità. L’esistenza di “un
ben regolato ospedale, quantunque i suoi locali non siano i più
opportunamente disposti” è segnalata dal Corbetta; il Capacci riporta
la presenza di un ospedale con 24 posti letto e fa riferimento alla cappella
annessa alla struttura.
Ben
presto la struttura venne trasformata in un ospedale autosufficiente, dotato
di 20-30 letti o più a seconda della necessità, provvisto di farmacia.
Intorno al 1950, quando la struttura perse di importanza in seguito alla
costruzione di altri ospedali ad Iglesias, il vecchio fabbricato è stato
ristrutturato con delle modifiche, rese necessarie anche in seguito al
crollo del lato nord del vecchio fabbricato, che portò anche alla
distruzione della cappella, verificatosi a causa di uno smottamento del
terreno. In seguito a questo intervento la struttura ha continuato a
funzionare accogliendo una piccola infermeria di 5 letti, l’abitazione
delle suore infermiere addette all’Asilo, un moderno gabinetto
radiologico, un ambulatorio ed
un armadio farmaceutico.
La
Caserma dei Carabinieri
La
costruzione risale al primo decennio del ‘900, quando venne realizzata per
ospitare la caserma dei Carabinieri; negli anni Cinquanta l’edificio ha
subito dei lavori di ristrutturazione, nell’ambito del piano globale di
“ammodernamento ed abbellimento” che ha interessato la maggior parte dei
servizi, in particolare quelli localizzati in prossimità del piazzale di
Villamarina. Un progetto relativo all’edificio della caserma è conservato
presso l’Archivio Storico del Comune di Iglesias e, benché privo di data,
si ritiene risalga ai lavori effettuati in quella occasione . Documenta la
nuova disposizione in pianta per entrambi i piani (piano terra e primo
piano), l’aggiunta del corpo dei servizi, posto nell’estremità sud-est
in continuità con il nuovo porticato sporgente sul fronte, a cui
corrisponde una terrazza sulla copertura. Nell’ambito dello stesso
intervento, all’edificio è stata addossata in continuità con il corpo
dei servizi, la pensilina in c.a. che contrassegna l’ingresso alla miniera
dal viale.
L’asilo
infantile
L’asilo
Renzo, intitolato al figlio primogenito di Francesco Sartoris (morto
dodicenne), venne realizzato dall’Ing. Ferraris, dietro le insistenza
dello stesso Sartoris. La costruzione inizia nel 1919 e viene ultimata entro
l’anno, entrando in funzione nel 1920; nel resoconto della visita di
ispezione compiuta dall’Ing. Ferrarsi in data 14 Gennaio 1919 è
riportato: “ E’ sempre in
costruzione l’asilo Renzo sul piazzale dell’Ospedale”. Come gli
altri edifici situati sul piazzale Villamarina,
è stato ristrutturato in occasione della celebrazione del Centenario
della Società, nel 1950. Alcuni immagini degli anni ’50 mostrano
l’asilo immerso nel verde di un giardino, delimitato da un cancello e da
un’elaborata balaustra in ferro battuto e ghisa (realizzata
nell’Officina Meccanica di Pozzo Sella).
Scuola
elementare ed Ufficio Postale
L’edificio
attuale risale agli anni Cinquanta, come riportato nel libro della
celebrazione del Centenario: “Attualmente
è in costruzione a Monteponi un fabbricato, espressamente progettato, che
accoglierà le scuole elementari in razionali e vasti locali riscaldati a
termosifone, con moderna attrezzatura scolastica, e con un’ampia palestra
coperta”. Quest’ultimo, comprendente anche i locali dell’ufficio
postale, sorgeva ex novo sul luogo di un precedente fabbricato realizzato
negli anni Trenta del ‘900 che accoglieva le vecchie scuole elementari. Le
piante relative al progetto del nuovo complesso sono conservate presso
l’Archivio Storico del Comune di Iglesias.
Ex
spaccio-mensa
Nel
1893 fu istituita a Monteponi una cucina economica per la refezione degli
operai che, successivamente migliorata ed ampliata, dette luogo alla Mensa
aziendale, “istallata in ampio ed igienico locale e dotata di moderna cucina con
equipaggiamento elettrico”.
L’edificio
attuale, risalente alla fine degli anni Venti- Trenta del ‘900 (data e
progetto non documentato), ha subito successivi rimaneggiamenti ed
interventi di ristrutturazione. Ha funzionato per decenni come mensa operai,
con idonei locali di servizio, poi, in seguito alla costruzione della nuova Foresteria
(inaugurata in occasione del Centenario della Società) parte dei locali
sono stati destinati a spaccio aziendale, gestito successivamente da una
cooperativa. Attualmente il fabbricato è ancora in uso ed ospita un punto
di ristoro self-service.
L’edificio
dell’autorimessa
La
presenza di un fabbricato sul luogo dell’attuale autorimessa, in prossimità
del piazzale Villamarina, adibito prima a scuderia, poi a magazzino, è
documentata dalle più antiche planimetrie note; non si è potuto accertare
la cronologia degli eventi costruttivi che hanno interessato l’edificio,
che ha sicuramente visto più interventi e manomissioni. Nella relazione
d’ispezione ai lavori di Monteponi, visita compiuta dall’Ing. Ferraris
in data 14 Gennaio 1919 è riportato: “Come nuovi lavori esterni sono da
notarsi il rifacimento ed innalzamento dei magazzini sul piazzale. Sono
costruiti in cemento armato “ (potrebbe riferirsi allo stabile in oggetto,
nella parte che risulta rialzata e relativa ad epoca successiva, poi adibita
ad autorimessa?). |